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Buon compleanno, Superzelda!

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marotta

A Lillian Roxon

 

Cosa festeggiamo e perché

Superzelda il libro è nato il 10 novembre del 2011. Quel giorno sono arrivate le prime copie in casa editrice e nelle nostre mani e abbiamo festeggiato con qualche bottiglia di vino e le dediche disegnate bellissime di Daniele alla libreria minimum fax di Trastevere. Sono venuti i nostri amici, non abbiamo fatto grandi discorsi (anzi, non abbiamo fatto proprio nessun discorso), abbiamo bevuto e dedicato tutte le copie che erano in libreria. Primo giorno di vita, piccolo sold out tra amici. In una versione sparpagliata e che sembrava mai definitiva Superzelda però esisteva già, esisteva da anni. Esisteva da quando con Daniele, facendo recensioni disegnate per D, ci siamo imbattuti nella storia di Zelda e abbiamo deciso di trasformare la sua vita di un fumetto mettendo per prima cosa un super davanti al nome.

Con Daniele siamo cugini (sua mamma e la mia sono sorelle), abbiamo la stessa età, ci conosciamo da quando eravamo bambini, per anni ci siamo persi di vista, ci siamo ritrovati adulti a una cena di compleanno di nostro nonno a cui non c’ero ma c’era Daniele e c’era mio padre e l’indomani mio padre mi ha telefonato per dirmi di andare sul sito di Daniele che adesso faceva fumetti bellissimi (ed era vero). Io scrivevo scritti che a Daniele piacevano moltissimo, Daniele disegnava disegni che a me piacevano moltissimo, a un certo punto abbiamo deciso di collaborare. Abitiamo in città diverse e lavoriamo a distanza, mandandoci email piene di allegati che quando lavoravamo a Superzelda erano fotografie di grammofoni e automobili del 1921 e non del 1922 mi raccomando, suite di alberghi trovate dentro le vecchie cartoline perché nella vita vera non esistono più, pagine di script miei, pagine di storyboard suoi, capitoli interi tutti disegnati che a leggerli la prima volta di fila sono sembrati a entrambi un prodigio, proprio non avevamo capito quante cose eravamo riusciti a metterci dentro. Fare Superzelda insieme (io la storia, lui i disegni, Marilena Rossi, la compagna di Daniele, i bozzetti bellissimi dei vestiti di Zelda, che si vestiva in modo tutto suo, odiava le mode ed era bella anche per questo) per certi versi è stato facilissimo.

Il 10 novembre del 2011 Superzelda era nelle librerie, e se festeggiamo il terzo compleanno (oggi lunedì 10 novembre alle 19.30, io a Roma alla libreria minimum fax in via della Lungaretta 90/e, Daniele e Marilena a Siena alla loro Accademia del fumetto bellissima che è nata nel frattempo in vicolo della Tartuca 3) senza avere festeggiato il primo e il secondo è solo perché ogni anno ce ne dimentichiamo. Quest’anno me ne sono ricordata e adesso sto cercando di mettere in ordine cronologico la vita di Superzelda in questi suoi scintillanti tre anni, le presentazioni fatte, i viaggi mio in America, di Daniele a Parigi, le feste in costume dove scoprivamo che a vestirsi anni venti si diventa di colpo bellissimi, diventano bellissimi anche gli adolescenti dei rave. E poi le recensioni spesso buone e ogni tanto no, e va bene anche così (dice un mio amico più saggio di me: “alla fine ti criticano per cose con cui hai già fatto i conti”), le traduzioni e edizioni che hanno riportato Zelda in giro per il mondo, come le piaceva, sempre in viaggio e mai definitiva, neanche di casa, strada e numero civico. Ma ordine non è una parola che mi piace, e la cronologia che seguirà è sparsa, disordinata o forse ordinata sentimentalmente, come capita certe volte con i ricordi.

locandina Copy

Questi ultimi tre anni, una lista anticronologica e parziale

Il primo articolo su Superzelda hanno chiesto di scriverlo a me. Ero un po’ imbarazzata a doverne scrivere io, e ho chiamato un amico scrittore chiedendogli: e ora che faccio? Lui mi ha detto: se l’hanno chiesto a te è perché ti considerano più scrittrice che giornalista, scrivilo. E così l’ho scritto. Non promuovevo né celebravo nulla, semplicemente raccontavo com’era nato il libro. Una sorta di prequel di quello che sto scrivendo adesso senza che questa volta me l’abbia chiesto nessuno. Devo averci preso gusto.

Dopo questo primo articolo sono uscite moltissime recensioni e interviste, hanno invitato me e Daniele a parlarne in radio (ma mai in televisione), abbiamo fatto più di cinquanta presentazioni in giro per l’Italia, il libro è stato ristampato due volte e in Italia ha venduto quattromila copie (poche per un libro, tante se il libro è a fumetti), ogni tanto continuano a chiamarmi in radio a parlare dei romanzi e racconti di Scott Fitzgerald quando escono in nuove traduzioni e edizioni. E questa cosa mi piace moltissimo, mi piace parlare di Scott e Zelda, li rende più reali.

Nella primavera del 2012 Superzelda è uscito in Spagna e in tutto il Sudamerica. Ogni tanto a googlare si trovano recensioni bellissime su blog messicani o cileni o da qualche parte in Sudamerica. Né io né Zelda siamo mai state in Messico. E nemmeno in Cile.

Nella primavera del 2013 Superzelda è uscito in America e in Canada per un piccolo editore giapponese di Long Island che si chiama One Peace Book. Esattamente era il mese di marzo e io ero a New York a fare ricerche su Truman Capote per il prossimo fumetto. Ho regalato una delle primissime copie di Superzelda a Rick Moody una mattina al MOMA davanti a un quadro di Mark Rothko. Rick Moody lo ha amato e quando gli ho chiesto di presentarlo mi ha detto ok. La presentazione l’abbiamo fatta da Strand che è la mia libreria preferita, in assoluto, non solo di New York. Un pomeriggio sono andata lì e ho chiesto a un commesso: chi si occupa degli eventi? Mi ha dato il nome e il numero di Jessica Strand (“il nome è una coincidenza”, ha detto il commesso). Quello stesso giorno l’ho chiamata e le ho detto così: ho scritto un libro che si chiama Superzelda, Strand è la mia libreria preferita, posso presentarlo lì? Lei, bravissima, mi ha detto: ok, ma presentiamolo a maggio che esce Il grande Gatsby di Baz Luhrmann al cinema qui accanto

. Così a maggio ho presentato Superzelda da Strand insieme a Rick Moody. Alla presentazione c’erano Lorenzo Jovanotti e sua moglie Francesca (ai miei occhi anche lei zeldesca), Katherine Dunn, Maira Kalman, mia sorella Alessia, mia nipote Livia che mi ha fatto due domande (“te le eri preparate?” le ha chiesto dopo mia sorella, e lei: “no, ma non ne faceva nessuno e allora c’ho pensato io”) e molte altre persone sconosciute. Quel giorno lì io ero proprio felice. I quindici giorni prima della presentazione una vetrina di Strand è stata interamente occupata da una tabellone grandissimo con la faccia di Zelda disegnata che annunciava la presentazione e due file di copie di Superzelda in bella vista. Il giorno che hanno messo su la vetrina di Zelda, Suzanne Vega è passata di lì per caso, ha fatto una foto e l’ha mandata a Martina Testa, che l’ha subito mandata a me. Quando la foto con la vetrina di Zelda è arrivata era mattina presto, mi ero appena svegliata, anche lì ero proprio felice.

A New York quell’anno dovevo restare due mesi che alla fine sono diventati cinque, una primavera e mezza estate, da marzo a luglio. Ho cambiato casa quattro volte e ogni volta sembrava di cambiare città. La prima casa era a Harlem, dalle finestre si vedeva tutto Central Park. L’ultima era a Soho, al posto dell’ascensore c’era il montacarichi e ogni volta che entravi o uscivi sembrava di essere dentro Flashdance, ti veniva sempre da ballare. Ho regalato Superzelda (perché è una cosa bella regalare il tuo lavoro alle tue persone preferite e perché l’editore americano era così piccolo che non aveva un ufficio stampa e per compensare la cosa mi ha regalato un sacco di copie che non conoscendo nessun giornalista americano non sapevo a chi dare) a Patti Smith, Thurston Moore, Richard Hell, Debbie Harry, Paulina Poriskova, A.M. Homes, Rick Moody, Legs McNeil, Will Hermes, Phoebe Gloeckner, Trina Robbins (che è rimasta molto colpita dal fatto che l’avesse scritto una donna e disegnato un uomo perché a quanto pare nel campo dei fumetti non c’è tanta parità), Dj Spooky (quel giorno mi è scoppiata la bic in borsa e spero che l’inchiostro non sia finito nel libro e da lì nel suo elegante vestito bianco), Camille Paglia, Albert Maysles, Bernardo Bertolucci, Clare Peploe, John Guare, Woody Allen, Jay McInerney (che nella cucina di un’enoteca di Chelsea mi ha chiesto di scrivergli una dedica e mentre la scrivevo ha detto: “sai, Scott e Zelda sono le mie persone preferite”), Bret Easton Ellis, Ethan Hawke, James Franco (che adesso ha un gatto che si chiama Zelda e due copie di Superzelda, una in italiano e una in inglese), la madre di James Franco che l’ha fatto leggere a due registi indipendenti che a un certo punto volevano farci un film e forse in futuro accadrà, stiamo a vedere. L’ho regalato anche ad altri miei preferiti ma adesso non mi ricordo chi. Ero innamorata dell’idea che tutta questa gente che fa cose bellissime leggesse Superzelda.

Quella stessa primavera a New York sono andata al BEA (Book Expo America), che è una gigantesca fiera del libro a Chelsea. Superzelda era nello stand del suo editore spagnolo (l’editore americano è minuscolo e non aveva uno stand) e quel giorno non dovevo fare nessuna presentazione ma c’era Jo Nesbø ed ero andata a sentirlo. Zoppicavo perché mi ero appena rotta un dito del piede e a un certo punto sono andata a sedermi nella poltroncina dello stand di un editore di fumetti di San Francisco. L’editore era un simpatico signore con la barba, ci siamo messi a chiacchierare e quando gli ho parlato di Superzelda mi ha raccontato che il suo migliore amico è il papà di Leonardo DiCaprio. Ho regalato una copia anche a lui e ha detto che l’avrebbe data a Leonardo, che “è un bravissimo ragazzo, per fare Jay Gatsby avrà studiato di certo tutto Fitzgerald, amerà molto il tuo Superzelda“. E ogni volta racconto queste storie che sembrano inventate ma sono tutte quante vere. Nemmeno le cerco, semplicemente capitano.

Dato che la casa editrice americana non aveva un ufficio stampa, in America ho fatto da me. Hanno recensito Superzelda: il Chicago Tribune, il Saturday Evening Post, Vogue, il New York Times (che lo ha solo citato insieme ad altri libri ed è comunque una cosa bella), vari giornali di fumetti, vari giornali non di fumetti ma non mi ricordo più quali, molti blog. È stato anche candidato dall’associazione librai americani come Great Graphic Novels for Teens 2014. Poi siccome promozione e vendite andavano bene, tre mesi dopo l’uscita mi hanno trovato un ufficio stampa che però lavorava solo con le radio. Ogni mattina avevo una diretta telefonica (a volte anche due) con qualche conduttore di qualche programma radio di qualche città d’America. Ogni tanto non capivo esattamente le domande e rispondevo a piacere, come facevo da ragazza a certi esami all’Università, perché è meglio dire qualunque cosa che fare scena muta, e alla fine andava bene comunque. Durante le dirette nessuno dei conduttori diceva mai che ero italiana, e io mi domandavo tutto il tempo: perché qualcuno dovrebbe comprare un libro scritto da una che non parla perfettamente l’inglese? Poi però, dopo tutte quelle dirette radio mattutine, Superzelda ha venduto ancora di più e il mio inglese forse è migliorato. “Tutti in America parlano broken english“, dice un mio amico. Il che è vero.

La presentazione più bella di Superzelda è stata quella a Montgomery, in Alabama. Montgomery è dove è nata Zelda. La casa dov’è nata non esiste più (a un certo punto c’hanno costruito una superstrada e hanno buttato giù la casa), ma nello stesso quartiere c’è un’altra casa dove negli anni venti, neo-mamma e con sua figlia Scottie piccolissima, Zelda è andata a vivere insieme a Scott. Negli anni novanta questa casa è diventata il F. Scott e Zelda Fitzgerald Museum. Il direttore del museo si chiama Willie Thompson, sua moglie si chiama Silvia Giagnoni, è italiana, fa la ricercatrice universitaria lì in Alabama e ha scritto un bel libro su Harper Lee (Oltre la siepe. Alla ricerca di Harper Lee). Harper Lee abita a poche ore da lì in una cittadina minuscola che si chiama Monroeville (dove abitava anche Truman Capote da bambino), nei miei giorni americani le ho regalato una copia di Superzelda. Per ringraziarmi mi ha mandato un’email dicendomi di averlo amato molto.

Ho mandato una copia di Superzelda anche al museo Fitzgerald e il direttore del museo Willie mi ha scritto invitandomi a presentarlo lì da loro il giorno del compleanno di Zelda, il 24 luglio. “Ogni anno facciamo una festa di compleanno qui al museo”, diceva l’email, “quest’anno possiamo dedicarla a Superzelda“. E così un giorno di luglio ho preso un aereo per l’Alabama e sono andata a Montgomery. Abitavo a pochi isolati dal museo, in un bed & breakfast bellissimo che si chiama The Lattice Inn. Ogni giorno, facendo a piedi il tragitto da lì a casa di Scott e Zelda, mi sembrava di camminare sul pianeta Venere o sulla luna. Immaginavo Zelda piccola oppure Zelda grande che andava a spasso lì, con o senza Scott, mi fermavo a guardare case e alberi e strade cercando di memorizzare tutto per avere dei ricordi miei, per certi versi sorpresa dal non averne già. Un giorno ho chiesto a Willie di accompagnarmi in uno dei posti preferiti da Zelda dove andare a camminare, e lui mi ha lasciato al vecchio cimitero, che è un posto bellissimo e Zelda ragazza andava sempre a camminare lì. Il cimitero di Montgomery è gigantesco e pieno di alberi incredibili, e a un certo punto c’è la tomba di Hank Williams e di sua moglie, che con Zelda non c’entrano nulla ma anche loro hanno vissuto lì. Poi sono andata al museo di Hank Williams che è lì vicino e ho scoperto che più che dalla vita vera e dalla moglie le idee per le sue canzoni d’amore gli venivano dai fumetti. Hank Williams leggeva un sacco di fumetti, soprattutto fumetti sentimentali.

Poi sono andata al museo di Rosa Parks, l’attivista nera che nel 1955 si è rifiutata di cedere il suo posto sull’autobus a un bianco, e ha fatto benissimo. Nel museo di Rosa Parks c’è un video che riproduce la scena dell’autobus in scala reale ed è una cosa molto emozionante. Poi tornando a casa c’è stato un uragano che ha scoperchiato diverse case e fradicia di pioggia mi sono rifugiata sotto la tettoia di una casa abbandonata mentre fuori era come nel mago di Oz. E ancora una volta ero su un altro pianeta. La mattina del compleanno di Zelda con Willie siamo andati a un centro commerciale che si chiama Zelda Place ed è su una strada che si chiama Zelda Road. Willie ha comprato una torta con sopra scritto “Happy Birthday Zelda” e mi ha fatto scegliere le candeline (le ho scelte con i brillantini, per amore di tutto quello che luccica). Le candeline le ho spente io (non me l’aspettavo) in una sala piena di gente sconosciuta e giornalisti di Montgomery, e ho festeggiato i centotredici anni che non farò mai.

L’indomani il video di me con una maglietta delle Pussy Riot che spengo le candeline di Zelda a casa sua erano su tutti i tg dell’Alabama, e a ripensarci è una cosa stranissima. Al momento delle dediche si è avvicinata una signora bellissima, che è la direttrice della scuola di danza di Montgomery, e mi ha raccontato che sua mamma era la migliore amica di Scottie e che da bambine giocavano insieme. A un certo punto mi ha detto: “Zelda era proprio come la racconti nel tuo libro, pensa che mia mamma da bambina le piaceva quasi più di sua figlia solo perché ballava meglio”. Dentro il museo c’è una foto di Zelda trentenne con il tutù e un gatto in braccio. Ho chiesto a Willie come si chiamasse il gatto di Zelda e lui mi ha detto: “Zelda non aveva proprio nessun gatto, quando ha fatto quella foto ha visto un gatto in giardino, lo ha acchiappato perché dev’esserle sembrata una bella idea farsi la foto con un gatto”. A Montgomery quasi tutti credono nei fantasmi. Alcuni dicono di avere sentito il fantasma di Zelda. Dicono che lo riconosci perché balla.

Quest’anno Superzelda è uscito in Francia. Daniele e Marilena sono andati a Parigi a presentarlo, ed è stato il primo lungo viaggio di Viola, la loro bambina che è nata nel frattempo. L’edizione francese di Superzelda ha un formato appena un po’ più grande delle altre ed è bellissima. Nella prima pagina ci sono Zelda e Scott disegnati piccoli piccoli che ballano. Quasi certamente è una canzone di Cole Porter.  

Perché c’è Lillian Roxon all’inizio

Infine spiego perché ho dedicato questa cosa che ho scritto a Lillian Roxon, che era una brillante e magnifica giornalista rock scomparsa nel 1973 e che con Zelda Fitzgerald non c’entra nulla e però se fossero vissute nella stessa metà di secolo si sarebbero piaciute perché Lillian Roxon amava Janis Joplin che amava Zelda, e perché Zelda avrebbe amato entrambe. L’anno scorso ho tradotto la Rock Encyclopedia di Lillian Roxon e alcuni suoi articoli. Il più bello era un articolo autobiografico (scritto come andrebbero scritti gli articoli autobiografici, senza egocentrismo e con gli occhi alti a raccontare il mondo in soggettiva) in cui faceva una cronistoria della promozione della sua Encyclopedia: le presentazioni fatte, i pochi strani viaggi durante un piccolo tour promozionale, le persone incontrate, le recensioni buone, quelle cattive, le generose e le invidiose, i nomi e i cognomi, la sua vita come sembrava essere cambiata dopo la fortuna del libro e come invece non era cambiata nemmeno di una virgola, i soldi che non li fai mai con un libro a meno che poi non ci facciano un film, e ti ritrovi ad abitare sempre nella stessa casa piccolissima con la testa piena di  buoni titoli e grandiosi progetti di libri futuri e il tempo materiale che manca sempre (e le sarebbe mancato perché è morta di asma pochissimi anni dopo, ed è un vero peccato, avrebbe potuto scrivere libri spettacolari) e tu che nel frattempo devi lavorare ad altro perché scrivere un libro non è mai un lavoro fintanto che qualcuno non ti paga come fosse un lavoro. Roxon ha scritto della vita del suo libro dopo il libro e lo ha fatto benissimo. Mentre traducevo quell’articolo pensavo: ecco, ogni libro meriterebbe da parte del proprio autore un articolo così. A modo mio ho provato a scriverlo. 

Roma, 9 novembre 2014


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